Buñuel Luis

Bella di Giorno

Pubblicato il: 6 Febbraio 2017

“Imperdonabile arrivare ai trent’anni senza aver visto una pellicola di Buñuel.”

Alla critica urticante di un accanito cinefilo, reagisco con risolutezza; devo sotterrare l’onta subita.

Il primo titolo del regista spagnolo che giunge alla mia attenzione è “Bella di giorno”. Del film conosco solo la fama irriverente e scandalosa che accompagnò la sua uscita nelle sale.

Mi fiondo sull’adorata poltrona domestica, compagna di lunghe battaglie di proiezioni non stop, inforco l’occhiale da vista e, all’avvio del film, sono già un tutt’uno con lo schermo.

L’inizio è senz’altro destabilizzante: una romantica passeggiata in carrozza di una coppietta finisce con l’aver degli insospettabili risvolti maniacali. La giovane viene presa con forza dai due cocchieri e violentata da questi con l’accesa istigazione del suo accompagnatore.

Severine si risveglia dal sogno estremo e ritrova il suo aguzzino nei, reali, panni dimessi e rassicuranti di uomo in vestaglia, che accetta di buon grado la ritrosia sessuale della moglie, pronta ad alzar la voce alla più timida pretesa carnale. L’imposta castità coniugale ben si adatta alla routine ordinaria e asettica del marito Pierre Serizy che, non a caso, veste gli impeccabili panni di medico. Un tipo davvero noioso, ancor di più per una donna dagli appetiti disordinati come Severine.

È la natura arrendevole dell’uomo a spegnere i trasgressivi impulsi della moglie, che dice il suo frigido no ad un contatto affettuoso e canonico e preferisce rifugiarsi nelle strane fantasie oniriche, che saranno insolute e insoddisfatte fino all’incontro con Henri Husson, amico di Pierre.

Questi palesa il suo sfacciato interesse per l’eterea, e apparente, morigeratezza della signora borghese. La riempie di apprezzamenti molto audaci, sfida il suo perbenismo ipocrita e, da incallito viveur qual è, finisce col parlare di case chiuse, e del famoso bordello di Madame Anaïs. La curiosità di Severine si accende.

Non è facile per lei, encomiabile interprete di signora per bene e compunta, ammettere di volere esplorare il lato torbido e vizioso che, seppur inconsciamente, la connota. Si vergogna come una ladra ad andare in rue Virene, si copre con larghe lenti scure stringendosi al cappotto, ma non riesce a fermarsi. Deve vedere con i suoi occhi cosa succede in quelle case, cosa si prova nel diventare un oggetto sessuale, nel subire l’estorsione dell’eros, come certi ricordi di infanzia lasciano intendere.

Severine, ribattezzata Bella di giorno, dopo aver preso accordi con la tenutaria desiste. Decide di negarsi per un intera settimana ma si è avvicinata troppo al fuoco e, a quel calore appena percepito, non vuole sottrarsi.

Diverrà un’infaticabile mestierante, tanto più arrendevole quanto più maltrattata. Nelle sue discinte vesti avverrà l’umiliante incontro con Husson, ma questi, vedendola spoglia del fascino misterioso che la conturbava, rifiuterà i suoi “servigi”. Il desiderio attraversa spesso percorsi tortuosi; può indurre una donna come Severine a sacrificarsi come vittima, o gente come Henri a bramare l’impossibile e, per i suoi gusti, la signora Serizy è ormai banalmente raggiungibile.

Un giovane cliente finirà nel suo letto, un losco ceffo invischiato in affari malavitosi. La donna si invaghirà del ragazzo ma le sue attenzioni diverranno talmente ossessive da costringerla a lasciare il bordello.

L’uomo non demorderà, riuscirà a trovarla e a tingerà di sangue la storia. Nessuno morrà, ma Pierre verrà ferito per mano dell’amante e l’incidente gli lascerà dei danni irreversibili.

Adesso è inerte, ma forse lo è sempre stato.

Un bella annata quella del ’67, nota per pellicole come “Indovina chi viene a cena” o “Il Laureato”, insigni esempi di cinema antiretorico. I film educano lo spettatore, anche il più bacchettone.

La figlia allevata con tante speranze, può innamorarsi di un uomo di colore. La devota moglie, seppur di mezz’età, può stancarsi della vita monotona che conduce, e buttarsi fra le braccia di un giovanotto, pronto a regalarle le attenzioni che a letto non le vengono più concesse. L’arte rompe i tabù e scopre i vizi che si vogliono negare.

Buñuel si inserisce in quest’ondata di emancipazione e, per scuotere le salde resistenze del pubblico dell’epoca, presenta a tutti la sua Severine. Sceglie la più bella Deneuve per interpretarla, perché vuole che la si ami incondizionatamente.

Non vuole giudizi sulla sua condotta, che viene mostrata con crudezza. La perversione viene emendata; diventa ricerca ineludibile di sé stessi, dei propri bisogni, anche quelli che fanno paura perché ci mostrano un volto che non riconosciamo.

L’anima di Severine viene rubata e messa in mostra. Ciò che succede intorno a lei non ci importa, perché siamo dentro la sua testa.

Le rubiamo i sogni e diventiamo custodi dei suoi segreti. Le sequenze “sognanti” del film sono poche ma distribuite sapientemente lungo la storia in modo da abituarci lentamente ad una diversa prospettiva di vita. Quella di Severine.

Ciò che stordisce all’inizio, risulta poi non solo comprensibile, ma anche del tutto legittimo perché lo scrupolo si fa da parte. La sofferta evoluzione della donna è vissuta in modo partecipe, la sua presa di coscienza ci appartiene.

La sequenza più bella la troviamo in uno dei suoi sogni, quello in cui la nostra bella di giorno viene coperta di fango. È avvolta da un abito bianchissimo che ricorda le mitiche figure della Grecia antica; una dea inarrivabile, da venerare, legata ai polsi e sacrificata all’umiliazione da Henri e Pierre. L’apparenza non gioca più tiri mancini, la bellezza non rimane intatta e Severine si offre alla lordura. Si immola lei stessa a quella che pare essere una tortura ma che in realtà è liberazione. Ci si affranca da un immagine irreale, smaniosa di perfezione, per arrivare alla decisa affermazione della natura più intima, e perciò fallosa e autentica.

Un film dall’indiscusso valore artistico e sociale.

La presenza nel cast di alcuni grandi attori del cinema d’oltralpe, come Jean Sorel, Michel Piccoli e Pierre Clementi, danno un’idea precisa del desiderio di Luis Buñuel: donare al suo lavoro un’allure smaccatamente sofisticata. La Deneuve, difatti, ci inebria con la sua classe. Persino nelle vesti più disonorevoli di donna a pagamento, siam chiamati a riverirla con sacrosanto rispetto.

La rappresentazione di una vita davvero al limite, come quella di Severine, passa ai nostri occhi come spaccato verosimile di una donna che ha fatto i conti con la sua diversità e l’ha accettata, assumendosene i rischi.

Giovanni Capizzi

 

Edizione esaminata e brevi note

Regia: Buñuel Luis

Soggetto: Kessel Joseph

Sceneggiatura: Carriere Jean Claude, Buñuel Luis

Tratto da un romanzo di: Kessel Joseph

Direttore della fotografia: Vierny Sacha

Montaggio: Hautecoeur Luoisette

Produzione: Hakim Robert e Raymond (Paris Film Prod.)

Origine: Francia 1967

Durata: 101 min

Interpreti principali: Deneuve Catherine, Sorel Jean, Piccoli Michel, Rabal Francisco

Approfondimenti: http://www.imdb.com/title/tt0061395/