Di Dio Diego

Fore Morra

Pubblicato il: 17 Febbraio 2017

Devo cominciare questa recensione premettendo che l’opera di cui tratterò è stata scritta da un autore che mi ha insegnato e mi sta insegnando molto sul mondo della letteratura… E che nonostante ciò voglio impegnarmi a parlare di “Fore Morra” non da allieva, ma in modo imparziale. Come se fossi un personaggio del libro, e al pari dei protagonisti potessi contare solo sulla fredda lucidità per portare a termine il mio compito.

L’ultimo thriller di Diego Di Dio racconta infatti le disavventure di due killer professionisti, un uomo e una donna che per vari motivi hanno fatto dell’assassinio la propria ragione di vita; o meglio, che per vari motivi si sono trovati così persi nel mondo e nella loro immensa Napoli da scegliere di abbracciare un’esistenza tanto fatale (perché, sembra suggerire la storia, nessuno può sperare di scampare per sempre alla punizione divina, a quella degli uomini, al karma oppure alla semplice legge delle probabilità). Insieme formano una coppia perfetta: l’amicizia che li lega li spinge a proteggersi a vicenda, rendendoli ancora più decisi a resistere alle difficoltà del mestiere che hanno intrapreso. Per citare una battuta di Vikings, potremmo affermare che Alisa e Buba sono “nati” lottando, ricoperti dal sangue di altri, e non hanno nessun problema a morire nella stessa maniera; e tutto questo coraggio lo prendono da se stessi, certo, ma anche dall’affetto che li unisce.

Un giorno però i due sicari vengono ingaggiati per una missione davvero difficile, che sin dall’inizio ispira in loro delle pessime sensazioni. Sensazioni che si tramuteranno purtroppo in realtà, quando gli eventi prenderanno all’improvviso una piega molto oscura.

Ho parlato di razionalità, e d’altronde è con il cervello che deve ragionare un killer. Non con lo stomaco e di sicuro non con il cuore, perché Alisa dice bene: “Uccidere per vivere è una regola che ha solo due eccezioni: niente bambini e niente di personale. Per il resto, tutto è permesso”; eppure il romanzo comincia con qualcosa che forse sta all’esatto opposto della logica della mente: una preghiera. Una preghiera recitata da un malavitoso che a mani giunte ripete delle parole, pensando al significato che esse hanno sempre rivestito per lui.

Che cosa c’è di meno razionale dell’invocazione a un Dio che non si vede e non si sente? E perché mai un uomo che ha scelto di costruire la propria fortuna sul delitto e su fragili alleanze fra traditori, un uomo che non può permettersi un passo falso pena la morte, dovrebbe indugiare in una preghiera?

La voce narrante ce lo spiega descrivendo il clima che si respira negli ambienti della criminalità organizzata: tradizione e scandalo, santità e blasfemia, famiglia e distruzione… Un signore della malavita recita il Padre Nostro perché anche lui in un tempo remoto è stato innocente, è stato amato, e coloro che amavano la sua parte innocente gli avevano insegnato a pregare. Ciò non giustifica l’avidità della sua decisione di darsi alla delinquenza, no perché la storia non cede a una simile ingenuità: il male fatto si paga con la legge del taglione (vedremo quale sarà la fine del camorrista inginocchiato in chiesa), e tuttavia è una componente che non dobbiamo dimenticare. Mai dimenticare il lato umano di un assassino.

Come per l’uomo in preghiera, anche per gli altri personaggi esiste tale dualità tra sentimenti e mancanza di pietà; uno degli aspetti migliori di “Fore Morra” è forse proprio l’oggettività con cui la protagonista stessa viene giudicata: i motivi delle sue decisioni sono spiegati, ci viene detto perché una ragazza abbia accettato di trasformarsi in una macchina di morte, però non c’è giustificazione. E con questo pare che l’autore voglia suggerirci che c’è sempre un’altra possibilità, e che nemmeno il dolore di un passato terribile può permettere ad Alisa di camminare illesa su determinate strade.

Scelte di coscienza, scelte razionali; cosa è giusto, cosa è facile, cosa è vantaggioso. Ritorniamo ogni volta al punto di partenza, alla lucidità dell’assassino che non può davvero mancare in un thriller degno di questo nome, e che però non riesce a nascondere del tutto il fantasma dei sentimenti o della fede o dell’insicurezza umana: i protagonisti di “Fore Morra” usano le mani e il cervello per uccidere, ma persino loro conoscono altari che non osano dissacrare.

 

Elisa Costa, febbraio 2017

Edizione esaminata e brevi note

Diego Di Dio Classe 1985, laureato in Giurisprudenza con una tesi in editoria, è lettore onnivoro e collezionista di fumetti. Scrittore prevalentemente noir, si è aggiudicato nel tempo parecchi riconoscimenti: Premio Mario Casacci (Orme Gialle) 2011, premio Nero Lab 2012, Premio Writers Magazine Italia 2013 e Nero Premio. È comparso due volte in appendice al Giallo Mondadori, con i racconti “I dodici apostoli” e “Il canto dei gabbiani” (menzione speciale al Gran Giallo Città di Cattolica 2013). “Condannati a morte” (MIlano Nera) è stato il suo primo ebook. Nel 2013, ha pubblicato “E’ tempo sprecato uccidere i morti” (Dunwich Edizioni), una raccolta di 12 racconti thriller/noir con prefazione di Barbara Baraldi e postfazione di Andrea Carlo Cappi. Gestisce un blog personale all’indirizzo: www.dieguitodidio.blogspot.it.

È titolare dell’agenzia letteraria Saper Scrivere. Negli ultimi mesi ha pubblicato con Primiceri il saggio “Il mercato dell’editoria” e con Fanucci il romanzo “Fore Morra”.

Diego Di Dio, “Fore Morra“, Fanucci Editore, 2017, 315 pp., € 10, 97