Non so da dove mi sia giunto il nome di Tibor Fischer, ma probabilmente ci deve essere stato un errore di trasmissione. Ho fatto un notevole sforzo per non abbandonare questo libro in qualche meandro dimenticabile della mia libreria. Alla fine, oltre ad un gran sollievo per aver compiuto un’impresa che per qualche momento ho ritenuto fallimentare, ho cercato la giusta serenità per parlarne. Perché ne parlerò e, temo, non bene.
Prima presa d’atto: “Viaggio al termine di una stanza” è un libro molto leggero. E, in fin dei conti, leggere qualcosa di “molto leggero”, di tanto in tanto, può essere sano. Il problema nasce quando la leggerezza sprofonda nel semi-demenziale o demenziale tout court...CONTINUA...
Per una volta coraggiosa e inusuale fu la scelta dell’Academy Awards, quando poco più di un anno fa decise di premiare con l’Oscar per il miglior film straniero il giapponese Okuribito – divenuto poi Departures, anche sul nostro mercato -, scalzando così dalle posizioni acquisite il favoritissimo Valzer con Bashir e la Palma d’Oro Entre les murs (La classe). Una vera e propria sorpresa, soprattutto per il tema trattato dall’opera di Yojiro Takita, evidente già dal titolo, che vista la cornice nella quale competeva difficilmente poteva riferirsi a un qualsivoglia horror o divertissement a base di cadaveri...CONTINUA...
Penso che nessuna recensione su “Modernità o Olocausto” possa essere realmente esaustiva né rendere pienamente il senso intimo di questo saggio. Le tematiche affrontante sono tante e tali che sviscerarle tutte e con la profondità che meriterebbero è opera decisamente complicata, forse nemmeno compatibile con un semplice lavoro critico.
Bauman confessa di aver deciso di fare i conti con l’Olocausto: una presenza storicamente ed umanamente ingombrante che lui, pur essendo un ebreo, non ha vissuto personalmente. Quando i nazisti, nel 1939, invasero la Polonia, la sua famiglia riuscì a fuggire in Russia, evitando gli orrori della prigionia e dello sterminio. La problematicità rappresentata dall’Olocausto...CONTINUA...
Ali riceve una lettera. Una busta di carta riciclata, carta giallastra. Riconosce la grafia di Mamed. Poche frasi secche e definitive, “una trovata di pessimo gusto” con la quale Mamed mette fine alla loro amicizia.
La narrazione della storia del legame tra Ali e Mamed è affidata alle loro voci. La prima parte del libro è occupata dal racconto di Ali, la seconda da quello di Mamed. Al termine, troviamo il racconto di Ramon, lo spagnolo convertito, amico di entrambi.
Ali e Mamed si conoscono al liceo. Due ragazzi diversi e complementari: Ali è pacato, timido, perennemente chino sui suoi libri; Mamed è vivace, sfrontato e costantemente a caccia di occasioni per spassarsela. Vivono...CONTINUA...
Friedrich Dürrenmatt è uno degli autori che mi vengono consigliati spesso. Finalmente mi sono decisa a seguire i suggerimenti: ho letto “La morte di Socrate”. Sono sicura di aver scelto bene, seppur del tutto casualmente, il mio primo libro di Dürrenmatt. Pochissime pagine: 61 nell’edizione Marcos y Marcos, compresa la versione originale in lingua tedesca a fronte. In sostanza un racconto. Brillante, ironico, giocoso e velocissimo. Dürrenmatt si è divertito a riscrivere una sintetica e colorata parodia della vita di Socrate, anche se non mancano ritratti ugualmente spiritosi e revisionati di Santippe, Platone, Aristofane, Dionigi di Siracusa e altri altisonanti nomi della Grecia antica...CONTINUA...
Storia di due amici che si ritrovano nel vecchio paese abbandonato dopo essere scampati alla guerra e recuperano il piacere di camminare insieme in montagna, di vivere un’avventura come succedeva ai tempi della loro giovinezza.
“Il volo di Arboris e Serafin” è un romanzo breve, una storia semplice, ma ricca di contenuti e un piccolo compendio della filosofia di vita di Martinelli.
Arboris, da Arbo, il paese d’origine, è lo pseudonimo di Guglielmo, un uomo che torna dopo una vita che l’ha sfibrato e deluso, si sente tradito e amareggiato e la guerra non ha fatto che sradicare ogni sua sicurezza e renderlo insofferente a qualsiasi disciplina. È sprofondato...CONTINUA...
“Ho smesso di cercare di dimostrare di essere qualche cosa di diverso da quello che sono. E è stato l’inizio del vero silenzio. Della vera pace interiore”. (p.15)
Il modo migliore per incontrare un montanaro è andare con lui per le sue montagne: è quel che ha fatto Fiorenza Aste con Mario Martinelli.
Ne è uscito questo libro-conversazione, nel quale alle riflessioni e ai ricordi di Mario fanno da contrappunto le osservazioni paesaggistiche di Fiorenza che, con spirito poetico, ci introduce nello scenario della Vallarsa dove vive Martinelli.
La...CONTINUA...
Gran Premio al Festival di Cannes, miglior film non anglofono ai Bafta 2010, candidato all’Oscar come miglior film straniero e vincitore di ben 9 Premi César, tra i quali film, regia, sceneggiatura e attori maschili. Non solo premi ma anche un' ottima accoglienza di pubblico per l’opera quinta di un regista, Jacques Audiard, amato e sovente premiato dalla critica (Sulle mie labbra, Tutti i battiti del mio cuore), a cui piace definirsi artigiano ma che anche in questo suo ultimo, intenso lungometraggio dimostra di essere un autore capace di fondere il realismo con le divagazioni oniriche, l’intrattenimento col minimalismo, il ritmo con...CONTINUA...
“L’odore del fieno” (1972) conclude “Il romanzo di Ferrara”, il lungo ciclo di storie dedicate da Bassani alla sua città e alla comunità ebraica quale emblema di una condizione esistenziale.
Dopo la lettura de “L’airone”ci si aspettava un romanzo nuovo, arioso, forte della catarsi ormai realizzata, ci si ritrova invece una sorta di miscellanea di scritti, che ripropongono i consueti temi autoriali, ma in modo frammentario e discontinuo.
La sensazione è di aver di fronte un esempio di mestiere ma...CONTINUA...
Jean Améry, come molti altri ebrei, fu internato ad Auschwitz, Buchenwald e Bergen-Belsen. Vi rimase per due anni e riuscì a sopravvivere per caso. Nei venti anni successivi alla sua liberazione, avvenuta nel 1945, non affrontò mai, da letterato e da intellettuale, la sua esperienza della Shoah. Nel 1964, quando a Francoforte iniziò il grande processo ad Auschwitz, Améry decise di infrangere il suo personalissimo silenzio scrivendo il primo articolo sull’esperienza del Terzo Reich, un pezzo dedicato alla figura dell’intellettuale ad Auschwitz: “Quando però, grazie alla stesura del saggio su Auschwitz sembrò essersi infranta una confusa proibizione, sentii improvvisamente l'esigenza...CONTINUA...
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